mercoledì 25 febbraio 2015

Le scuole inglesi: come sono organizzate?

Il parco di una classica scuola inglese

“ ‘Questo ragazzo ha bisogno di un uniforme per la Aymestrey School’
Era la prima volta che sentivo quel nome.
Ero davvero molto emozionato all’idea di andare a scuola!”

Il sistema scolastico nelle scuole britanniche è diviso in tre livelli principali, nella quale l’obbligo scolastico va dai 5 ai 16 anni.
I livelli sono: Nursery School, (scuola materna)
                       Primary School (scuola elementare e scuola media)
                        Secondary School (scuola superiore)
Conosciuti anche come First School, Middle School e Upper School.
Quest’ultimo tipo di scuola si divide in tre categorie: grammar school (liceo), technical school (istituto tecnico) e modern school (istituto professionale).
L’istruzione pubblica è completamente gratuita ed esistono scuole statali chiamate maintained school come esistono anche scuole private chiamate independent school (sono più di 2500).
Durante l’obbligo scolastico vengono insegnate agli studenti 12 materie che equivalgono a: inglese (lingua madre), matematica, scienze, arte & design, educazione civica, tecnologia & design, storia, geografia, informatica, lingua straniera (varia da scuola a scuola), musica ed educazione civica.
In gran Bretagna, solitamente, non esistono interrogazioni orali e la valutazione degli studenti si basa solamente su compiti scritti svolti in classe.
Le giornate di scuola sono organizzate diversamente per ogni scuola, ma solitamente gli orari comprendono lezione dalle 9.00 alle 12.00, pausa pranzo, e successivamente lezione dalle 13.00 alle 15.00.
In alcune scuole è obbligatoria la divisa che varia in base all’istituto che si frequenta.

Angela S.

domenica 22 febbraio 2015

La persona autoritaria




«Ho un po’ di soldi avanzati da quando stavo in Turchia. Te li posso dare.»
«Non si avvicinano nemmeno a quello che devo spendere per te, ma tu dammeli»
 «Mi dispiace»dissi, cercando di dissimulare la mia frustrazione.
«Troverò un modo perché tu possa ripagarmi…C’è ancora tempo»disse Mehdi severo.

Nella storia di Abbas la figura autoritaria è “interpretata” da suo cugino Mehdi. Da come lo ha descritto Abbas, è un uomo aggressivo e scorbutico che in molte situazioni tende ad esagerare con le sue “regole” rigide. Vuole farsi rispettare  e lo fa con modi molto duri. Questo suo atteggiamento lo porta a litigare e ad essere in disaccordo con tutti. Abbas stesso ne ha paura e lo rispetta non perché le regole a cui fa riferimento il cugino siano giuste, ma solamente per un timore reverenziale e soprattutto per la paura nascosta di essere rimandato in Iran.
Spesso si confonde la definizione di "autoritario" con  "autorevole". Il cugino Mehdi è autoritario in quanto vuole imporre la sua volontà non ascoltando nessun’altra ragione all’infuori della propria che ritiene assolutamente giusta e corretta. Le persone autoritarie sono assolutamente non inclini al dialogo e al confronto con gli altri. Non solo, di solito la persona autoritaria diventa un tiranno cioè un dittatore che impone la propria volontà agli altri anche con la forza fisica (sia con minacce verbali che con violenze fisiche come picchiare qualcuno).
Un esempio di personaggi fortemente autoritari nel nostro tempo possono essere proprio le figure dei grandi dittatori come Stalin, Hitler, Mussolini i quali mettevano a tacere gli oppositori togliendoli di mezzo o mandandoli nelle prigioni “di stato”.
Un’altra caratteristica delle persone autoritarie è l’aggressività e la mancanza di rispetto nei confronti delle altre persone. L’aggressività si manifesta con toni di voce molto alti che tendono a imporre in modo violento la volontà della persona autoritaria. Anche il fatto di alzare la voce per imporre la propria volontà, porta proprio alla mancanza di rispetto nei confronti delle persone che stanno ad ascoltare. La persona autoritaria diventa litigiosa anche perché tende sempre a sottolineare e ad imporre il proprio punto di vista continuando a ribadire concetti più e più volte e risultando alla fine estremamente pesante da parte di chi si trova ad ascoltare. Nella frase iniziale proprio il cugino fa sentire Abbas un nulla, facendogli pesare il fatto che i soldi da lui recuperati in Turchia non sono comunque sufficienti a sdebitarsi e quindi mette Abbas in una situazione di forte disagio e sottomissione nei confronti del cugino. D’altro canto il cugino si fa ancora più forte su Abbas imponendogli comunque di consegnargli la somma e facendogli capire che avrebbe potuto sdebitarsi in altro modo e facendo così scattare una sorta di ricatto morale nei suoi confronti. In sostanza dalle persone autoritarie ci si può difendere? Per me sì con una forte dose di autostima e di coraggio nel riuscire ad esporre le proprie idee, nel reagire a queste forme di sottomissione e cercando soprattutto di non lasciarsi travolgere in discussioni con persone che siano poco aperte al dialogo con gli altri.


Francesca Dal Maso

mercoledì 11 febbraio 2015

Il galateo a tavola. Come comportarsi?


“-Si chiama Kate e viene da una buona famiglia inglese… per cui comportati come si deve-ordinò.
Mi chiesi cosa avessi fatto perché potesse supporre il contrario. –Certamente- risposi a bassa voce”


Il galateo è il complesso delle regole per comportarsi convenientemente e dignitosamente nei rapporti sociali.
E’ considerato come il Vangelo delle buone maniere. Uno dei luoghi dove trova maggior modo di essere applicato è a tavola.
Non molte persone lo seguono alla lettera soprattutto in situazioni informali, ma in alcune occasioni è necessario seguire precise regole, mentre alcuni atteggiamenti vanno assolutamente evitati.
ecco alcuni esempi di ciò che non si dovrebbe fare:
-aspettare che la padrona di casa si sia seduta prima di iniziare a mangiare;
-non aspirare il brodo rumorosamente dal cucchiaio;
-non parlare a bocca piena;
-non servirsi dai piatti di portata con le proprie posate;
-non avvicinare la testa al piatto, ma portare alla bocca il cibo con le posate;
- non annodare il tovagliolo al collo ma tenerlo sulle ginocchia;
-non fare la “scarpetta”;
- mai portare alla bocca la lama del coltello;
- non fumare assolutamente a tavola;
- pulirsi le labbra prima di bere;
-non usare stuzzicadenti;


alcune di queste “regole” possono apparire un po strane, alcune di esse probabilmente qualcuno non pensava nemmeno esistessero. Certe siamo talmente abituati a farle che non ci rendiamo nemmeno conto che in realtà, anzi a volte li consideriamo di buon educazione. Ad esempio:
-augurare buon appetito, in realtà è considerato maleaugurante;
-non si dovrebbe tagliare tutto il cibo, bensì un pezzetto per volta;
-non vanno appoggiati i gomiti sul tavolo;
-bisognerebbe sempre lasciare un po del cibo sul piatto, e non finirlo completamente;
-è consigliabile non prendere porzioni troppo abbondanti;
- non rifiutare l’offerta di vino girando il bicchiere o appoggiandoci la mano sopra;
- non annusare i cibi;
-non mangiare la pasta o il riso con il cucchiaio;
-non tagliare le frittate con il coltello;

Nel galateo a tavola un’importante attenzione va dedicata alle posate:
a sinistra del piatto vanno messe le forchette (quella normale e quella da pesce), mentre
a destra i coltelli (normale e da pesce) con la lama verso il piatto ed il cucchiaio.
Le posate da dessert vanno messe orizzontalmente davanti al piatto con la forchetta con il manico a sinistra e il cucchiaino ed il coltello da frutta col manico verso destra, i bicchieri vanno messi leggermente a destra e devono essere almeno due, uno per l’acqua e uno più piccolo per il vino che va messo a destra di quello per l’acqua.
Il tovagliolo va a destra e non è molto educato ne elegante inserirlo nel bicchiere.
Il pane va servito su un piattino a sinistra dei bicchieri

Le posate posizionate in un determinato modo stanno a significare diverse cose, quando ad esempio si lasciano le posate con le punte incrociate significa che si desidera fare un bis o una pausa, quando invece si vuole far intendere di aver finito il pasto si posizionano le posate parallele. Ma raramente le persone notano queste sottigliezze.
‘e importante invece tenere presente che le posate durante il pasto non vanno mai appoggiate alla tovaglia in quanto si rischierebbe di sporcarla, ma sempre al bordo del piatto.

Gigliola F





venerdì 6 febbraio 2015

Marzhieh & Abbas..un rapporto particolare


«Stai piangendo, Maman?»
«No». Cercava di nascondere la propria tristezza.

Il libro “Con le ali ai piedi” tratta di molti argomenti, spesso difficili, scomodi ed è forse quasi per darci una tregua che l'autore ci lancia un'ancora sentimentale permettendoci di dare uno sguardo ad uno dei più profondi e radicati legami esistenti: quello tra una madre e suo figlio.
Rapporto spesso al centro di rappresentazioni letterarie, talvolta tragiche – come Edipo – la relazione che unisce una madre ed un figlio inizia ben prima della nascita.
Giovanni Bollea, emerito neuropsichiatra infantile scrive: c'è intorno alla donna incinta e al suo frutto che cresce una specie di aura isolante che rende sempre ricco di fascino questo misterioso processo vitale[1].
Un rapporto che si rafforza e cresce con la nascita ed i primi anni di vita, quando il legame assume caratteri di esclusività: uno chiede e l'altra risponde con messaggi subliminali che solo loro capiscono [...] a poco a poco, la madre comincia a dare significato ai 'segnali fisici' del bambino, e tra la terza e la quarta settimana, parte il 'computer umano' e la madre inizia a creare la 'mente' di suo figlio. […]
È un ritmo ricco e stimolante di scambio, con una sincronicità e reciprocità perfette per quanto riguarda i bisogni, i tempi, gli stati del bambino. Madre e figlio 'si capiscono' e 'si sentono' attraverso un loro 'codice privato'1.
Ed è così che il rapporto si rafforza: la madre parla – anche se sa che il neonato non è in grado di capire il linguaggio – e poi attraverso il canto gli trasmette il proprio essere, il sentimento e cullandolo gli esprime il proprio affetto che, nel loro insieme andranno a creare l'ambiente adatto alla crescita.
Nel primo anno emozioni e sentimenti sono l'alimento della vita affettiva del bambino: è dal loro intreccio che nasce la capacità di amare e di essere amato. Il linguaggio dei sentimenti precede quello della parola. Ed è attraverso lo sviluppo affettivo che il bambino impara a poco a poco a pensare e a parlare.1
Con la crescita del bambino il rapporto cambia, si evolve in educazione: educare, deriva da educere, cioè guidare senza soffocare: affetto e rimprovero, hanno uguale importanza1.
Noi non sappiamo come Marzieh, la madre, abbia educato Abbas, l'autore non ce lo dice  forse perché, nonostante non abbia riserve nel raccontarci le difficoltà del suo viaggio verso l'Inghilterra sembra non riesca, o non voglia, affrontare un argomento così personale.
Quello che abbiamo sono, pertanto, dei flash, delle istantanee con le quali possiamo solo immaginare come sia stata.
Infanzia fatta di attenzioni, talvolta eccessive, di piccole incomprensioni che assumeranno un significato solo quando si realizzerà il destino del piccolo Abbas.
Il distacco. Cosa ha significato il distacco per il rapporto madre-figlio? Per la madre è un sacrificio eroico, necessario per il bene di Abbas eppure distruttivo, così doloroso che il padre preferisce limitarle i contatti con il suo bambino lontano.
Se la madre si era sentita colpevole quando il figlio  giocando in cortile si era ferito quale sarà stata la sua frustrazione ora che l'aveva “abbandonato” a soli 9 anni?
Nonostante questo la madre di Abbas, nei pochi casi in cui riesce a comunicare con lui, per telefono o lettera, riesce a trasmettergli fiducia, una fiducia assoluta nelle sue capacità che lo aiuterà a superare le crisi.

Emma Castellan



[1]Le frasi in corsivo sono tratte da Giovanni Bollea “Le madri non sbagliano mai” Feltrinelli 2002

martedì 3 febbraio 2015

La divisa scolastica


“In Inghilterra i bambini indossano uniformi a scuola. Ma queste sono tutte diverse l'una dall'altra. Perchè ogni scuola ha un uniforme diversa", spiegò lui”.

 L'uniforme o divisa scolastica è costituita da un set di vestiti da indossare all'interno di un istituto scolastico. L'utilizzo di una divisa scolastica è un'usanza inglese, un tempo diffusa anche nel resto d'Europa. Oggi, solo alcuni istituti scolastici obbligano gli studenti ad indossare una divisa, mentre l'usanza è ancora molto diffusa nelle scuole primarie e secondarie di alcune ex-colonie britanniche, in Cina, in Corea e in Giappone. In particolare, in India, in Irlanda e in Australia. Lo scopo della divisa scolastica è quello di caratterizzare gli studenti appartenenti allo stesso istituto, e contemporaneamente evitare che il vestiario individuale utilizzato possa rendere evidente l'appartenenza a classi sociali diverse.
Tradizionalmente, le uniformi maschili sono costituite da lunghi pantaloni scuri e da una camicia chiara, con l'aggiunta a volte d'una cravatta; quelle femminili invece si differenziano da paese a paese e in base ai sistemi scolastici, ma in genere sono composte da una camicia e una gonna, solo alcuni paesi permettono alle ragazze di indossare pantaloni.
È abbastanza diffuso anche l'uso di una giacca o di un completo simile per entrambi i sessi, soprattutto nei paesi freddi.
Alcuni paesi hanno divise simili per tutte le scuole, altri invece permettono ad ogni istituto di avere una personale uniforme, la quale può variare molto rispetto a quella delle altre scuole.
Le uniformi scolastiche sono state introdotte per la prima volta in Ighilterra durante il regno di Enrico VIII, queste divise erano formate da lunghi soprabiti e giacche in tinta blu, il colore più economico : il primo istituto scolastico ad introdurre quest'uniforme fu il "Christ's Hospital" in Sussex.
Nel 1870, in seguito ad una nuova legge che introdusse la gratuità dell'istruzione primaria per tutti i bambini, la popolarità nell'utilizzo di uniformi crebbe fino ad essere adottata dalla maggioranza delle scuole.
Durante questo periodo la maggior parte delle divise doveva riflettere le tendenze dell'epoca. Le ragazze, ad esempio, erano tenute a portare una camicia e un abito in stile tunica con grembiule, per poi modificarsi verso l'inizio del XX secolo in una tunica a maniche con gonna a pieghe.
Questo tipo d'uniforme si portò fino a dopo la seconda guerra mondiale quando, con la riforma Butler dell'istruzione secondaria, il suo uso non fu più obbligatorio.
Quando ancora richieste, le uniformi devono avere un costo contenuto, essere d'un tipo equo per entrambi i sessi e rispettose di tutte le tradizioni religiose, ad esempio consentendo d'indossare turbante o velo.
In alcune scuole, soprattutto quelle private, è obbligatoria la divisa, fino al conseguimento del cosiddetto GCSE (General Certificate of Secondary Education) cioè fino ai 16 anni. Negli ultimi due anni non è obbligatorio indossarla, nemmeno nelle scuole private.


Beatrice Moro

lunedì 2 febbraio 2015

Visto consolare


“Mi sorrisero entrambi e mi fecero cenno di andare da loro. Il cuore mi batteva forte come la notte che ero stato aggredito. Camminai lento verso lo sportello. Il console aprì il mio passaporto senza dire una parola e mi indicò un visto rilucente stampigliato su una pagina. Poi fece il giro ed aprì la porta laterale, per consegnarmelo di persona. Mi strinse la mano e mi augurò : “good luck”.

Il visto consolare è un permesso con il quale un Console di uno stato riconosce la validità di un passaporto straniero consentendo, al suo possessore, di entrare ed uscire dal suo territorio. Esistono 2 grandi categorie di visti:
-Visti di breve durata, previsti per soggiorni fino a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, calcolato a partire dalla data del primo ingresso nello spazio Schengen.
-Visti di lunga durata, cioè sempre superiore a 90 giorni. Sono i visti nazionali (VN). I visti nazionali consentono l’ingresso per lungo soggiorno solo nel territorio dello Stato che li ha rilasciati e di circolare, anche in attesa del Permesso di soggiorno, all’interno dello Spazio Schengen fino a un massimo di 90 giorni.
-I visti per breve soggiorno possono essere rilasciati per motivi di: affari, cure mediche, gara sportiva, invito, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, studio, trasporto e turismo.
-I visti per lungo soggiorno possono essere rilasciati solo per: adozione, cure mediche, motivi diplomatici, familiare al seguito, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, reingresso, residenza elettiva, ricongiungimento familiare, studio, vacanze-lavoro.
Esistono anche visti la cui validità può essere di diversi mesi. Naturalmente per il rilascio ogni Consolato richiede una sua documentazione particolare con delle foto e dei moduli propri. Ci sono anche dei diritti consolari da pagare al Consolato. Molto raro è il rilascio del visto gratuito, così come invece è usuale richiedere dei diritti d’urgenza, che logicamente hanno un costo più elevato, dove ci sia l’esigenza di una procedura più veloce per un viaggio imminente. I tempi per il disbrigo della pratica sono stabiliti da ogni Rappresentanza e cambiano da Stato a Stato.

Giacomo fabris

domenica 1 febbraio 2015

Atterraggio a Heathrow


"..Mi svegliai di soprassalto mentre l'aereo cominciava la discesa verso l'aeroporto londinese di Heathrow.."

Per chi ha esperienza di volo come passeggero sa cosa si prova in atterraggio, ma mettiamoci nei panni di tutte quelle persone che non hanno mai volato o sono terrorizzati nel farlo.
Cosa si prova durante l'atterraggio?
Posso dire che durante l'atterraggio siamo colpiti da milioni di sensazioni edemozioni. Innanzitutto prevalgono molto di più le sensazioni fisiche rispetto a quelle sentimentali, per esempio una di quelle più frequenti è il paragone con una  macchina in costante frenata combinato con una barca in balia delle onde. Si sente anche un po’ di nausea. A livello mentale scatta un po’ d’ansia perchè sembra che l’aereo vada talmente piano che manca poco che cada.
Le altre sensazioni sono di accelerazione, perchè il pilota mantiene la quota e la velocità aumentando o diminuendo la potenza dei motori, e alzando o abbassando la prua dell’aereo. Oltre a queste sensazioni si sentono molto le virate, perchè a bassa velocità l’aereo deve inclinarsi molto.
Poi c'è la paura di volare, o quella sensazione di ansia che ti prende al momento del decollo e dell’atterraggio, sensazioni normali perchè non si è abituati a volare e to ai movimenti che fa l’aereo.
Ma poi sei lì e non puoi tornare indietro e non vedi l'ora di scoprire com'è il posto che ti eri prefissato di vedere,non sai se ti piacerà o meno.
E allora guardi fuori dal finestrino e tutte le paure,preoccupazioni,ansie se ne vanno e volano via .
Pensi solo ad essere lì in quel momento e scovare le cose più belle, le tue aspettative si avvereranno, ti scappano sorrisi, e senti l'adrenalina che ti sale da quanto sei felice, perchè sei arrivata, sei li a goderti il panorama e a sognare su di esso.
Ed è una sensazione così bella che sei cosi contento/a da non saperla spiegare e ti perdi nei tuoi pensieri. Ti perdi e vorresti fantasticare su quella destinazione per ore. L'atterraggio, secondo la mia esperienza personale, è stato magnifico, non volevo più allontanare la vista da quel panorama piacevole. Volare è una cosa che consiglio vivamente a tutti, da provare. Per tutti quelli che hanno paura, oppure non hanno mai provato, scegliete di volare!

Maria Vaccaro

Dire addio ad un amico


“Gli si leggeva in faccia che parlava sul serio. Mi chiesi se si sarebbe messo a piangere, ma non era nel suo stile. Il nostro addio finiva lì. Ma il fatto che fossi triste lo indusse a guardarmi un secondo di più di quanto avrebbe fatto altrimenti. Poi si voltò e scomparve in mezzo alla gente.”

Dire addio ad un amico non è sempre facile. E’ una delle sensazioni più tristi che secondo me si possa provare. Abbas ha sperimentato in prima persona questo dolore per ben due volte nel corso della sua vita. All’età di otto anni, quando ancora era un bambino bisognoso di sicurezza e stabilità, ha dovuto abbandonare il suo paese natale, l’Iran, e la sua famiglia, a causa della guerra, per raggiungere la casa di un suo lontano parente in Inghilterra, a Londra. Questo piccolo uomo sicuramente non ha affrontato un’esperienza adatta alla sua tenera età e a causa dei sacrifici e di  tanto dolore è riuscito a crescere e diventare adulto prima del tempo.  Dopo poco tempo è costretto a dire addio ad un’altra persona a lui molta cara, conosciuta durante il suo alloggio ad Istanbul, dove si era recato per  ottenere il visto per raggiungere l’Inghilterra. Si tratta di Murat, il proprietario dell’hotel, un vero amico, il quale, sebbene qualche volta abbia mentito ad Abbas, gli è sempre stato vicino nei suo momenti più difficili. Quando diciamo addio ad un amico abbiamo il cuore a pezzi perché sappiamo che non sarà mai facile colmare la sua assenza. La sua partenza ci lascia un vuoto difficile da riempire. Noi però dobbiamo essere consapevoli che la lontananza non potrà mai pregiudicare l’amicizia che si è instaurata.  Spesso, infatti, quando un nostro amico ci comunica che deve partire per un paese lontano, ci sentiamo spaventati perché dentro di noi, anche se non lo vogliamo ammettere, abbiamo il timore che il legame che si è creato in qualche modo si attenui o addirittura si spezzi del tutto; ma soprattutto è questo interrogativo che paurosamente ci poniamo: verremo mai sostituiti da una persona più importante nel cuore del nostro migliore amico? Quando infatti due persone si dicono addio, hanno sempre il timore di perdersi e di  non ritrovarsi più. Mantenere un rapporto a distanza può essere molto complicato e doloroso: si è privati infatti della possibilità di avere vicino a te, fisicamente, la persona a cui vuoi bene, di poterla abbracciare e guardare fissa negli occhi quando le si parla. Tuttavia un addio può rivelarsi un modo per mettere alla prova la solidità di un rapporto. Un’amicizia è veramente consolidata se resiste anche ad una lontananza e se noi vogliamo bene ad una persona, non ci deve importare quanto sia distante da noi: basta che continuiamo a pensarla e a mantenere vivo il suo ricordo nel nostro cuore.  Se per il nostro amico siamo unici, non dobbiamo avere paura di essere sostituiti.  Non sarà cero la lontananza ad incrinare un legame profondo: supereremo l’addio insieme e magari saremo destinati a rincontrarci di nuovo.
Alessia Liotto.

  

martedì 27 gennaio 2015

I furti in Turchia




Dal nulla spuntò un braccio che mi afferrò per il collo e mi trascinò in un vicolo stretto e buio. Mi raggelai. Un uomo magro, dai lineamenti duri, con un pesante mantello – o forse una coperta – sulle spalle, mi schiacciò la testa contro un muro e mi mise un coltello alla gola


Furto: chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri. (art. 624 c.p.) Il furto è la tipologia di delitto più comune; costituisce, infatti, circa il 53,9 per cento del totale dei delitti. Nel 2006 ci furono vari furti nei musei turchi, in cui le opere originali erano state rubate e poi sostituite da falsi. Nel 2007 furono scoperti 38 pezzi d’oro falsi in altri vari musei. Dopo questi eventi il Ministero della Cultura e del Turismo ha messo in opera una duplice strategia per proteggere il patrimonio nazionale: l’installazione di sofisticati sistemi antifurto e il progetto di verificare l’autenticità degli oggetti di tutti i musei turchi e di farne un inventario. Nel 2009 la Turchia ha subito un aumento dei furti del 6,4% rispetto all’ anno precedente (al 6° posto della classifica dell’aumento dei furti in Europa) Nel 2010 il museo di Stato ad Ankara ha subito un furto di 40 dipinti del valore di 30 milioni di dollari. Il 15 gennaio 2015 sono stati recuperati 30 dipinti, ritrovati ad Istanbul. Nel 2012 nella parte occidentale della Turchia alcuni ladri hanno fatto a pezzi un ponte di ferro (lungo 25 metri e di 22 tonnellate), lo hanno portato via per poi rivendere le materie prime. Il fenomeno di furto di materie prime si è verificato in tutto il mondo.

Jacopo Fortuna

Nascosta ma sotto gli occhi di tutti: la violenza sui bambini


“Sì chinò su di me e mi prese per entrambe le orecchie. Poi, di punto in bianco mi diede uno schiaffo. Infine  mi sputò in testa e se ne andò.”

La violenza contro i bambini è  un fenomeno trascurato e molte volte non denunciato.
Ogni 5 minuti da qualche parte nel mondo un bambino muore a causa di un atto di violenza. Secondo l’OMS (0rganizzazione Mondiale della Sanità) circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni sono state vittime di violenza e sfruttamento sessuale.
La violenza sui bambini esiste da sempre.
Quando si parla di violenza sui bambini si intendono tutte le forme di cattivo trattamento (fisico/affettivo) che un bambino può subire involontariamente.
Le forme di violenza sono molte e comprendono:
-Violenza fisica
-Violenza sessuale
-Violenza psicologica
-Patologia delle Cure (Incuria, Discuria, Ipercuria)


VIOLENZA FISICA
La violenza fisica si ha quando un adulto provoca del male fisico al bambino. Può trattarsi di lesioni, ustioni, avvelenamenti, percosse ecc.
Dobbiamo ricordarci che il dolore che il bambino prova oltre ad essere fisico è anche emotivo.

VIOLENZA SESSUALE
Si ha quando i bambini vengono coinvolti in attività sessuali. E’ molto traumatico per il bambino visto che non conosce nulla riguardo a quello che gli viene fatto. Degli esempi sono le molestie, gli stupri, la pedofilia e la pornografia.



VIOLENZA PSICOLOGICA
Ne fanno parte tutti quei comportamenti in cui il bambino è umiliato, svalutato, terrorizzato in modo costante e per un lungo periodo.
INCURIA
L’incuria è caratterizzata da mancanza di cure adeguate sul piano fisico ed emotivo (scarsa alimentazione e pulizia personale, non provvedere alle cure mediche)

DISCURIA
La discuria è quando i genitori si prendono cura del figlio in modo inadeguato rispetto all età che ha, trattandolo o da più grande, richiedendoli di fare cose superiori alle sue possibilità reali o da più piccolo facendoli ad esempio usare il biberon quando è già una fase passata.

IPERCURIA
Si ha quando i genitori si prendono cura del piccolo in modo eccessivo e sproporzionato. C’ è spesso una preoccupazione esagerata sulla salute del figlio, consultando continuamente medici e somministrando farmaci in modo abusivo.

Altre due gravi forme di violenza sui minori nel mondo sono:
- Il lavoro minorile
- I bambini soldato

IL LAVORO MINORILE
In tutto il mondo 250 milioni di bambini al di sotto dei 14 anni sono costretti a lavorare.
Trattati come degli schiavi, lavorano per molte ore al  giorno, senza nessuna forma di sicurezza.
La causa principale di questo fenomeno è la povertà. Molte fabbriche richiedono la manodopera infantile perché costa molto meno di quella degli adulti, inoltre è più facile  perché i bambini non si ribellano
Moltissime famiglie riescono ad andare avanti grazie ai guadagni dei loro figli.
Questo fenomeno è presente in Africa, America Latina, India, Corea ma anche in Europa e Stati Uniti.

I BAMBINI SOLDATO
I bambini (sotto i 18 anni) vengono utilizzati anche in ambito militare, sono reclutati come soldati e rischiano la vita ogni giorno per combattere nelle guerre. Questo fenomeno coinvolge anche le bambine.
L’Africa è considerata l’epicentro del problema, anche la Sierra Leone, il Sudan e il Medio Oriente fanno uso di bambini soldato.

 PROVVEDIMENTI
Oggi, a livello internazionale si riconosce il bambino come soggetto meritevole di supporto, sostegno, cura e assistenza.
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente IL DIRITTO alla PROTEZIONE da ogni TIPO di ABUSO, SFRUTTAMENTO e VIOLENZA.
Non sempre però i casi di violenza sui minori sono denunciati, questo accade per svariati motivi come la giovinezza delle vittime, l’inesperienza, l’ignoranza, la paura e molto spesso la vergogna delle famiglie.


La violenza è una cosa che nessuno dovrebbe provare o vedere né tanto meno gli occhi di piccoli innocenti senza colpa.  Questo è un grande problema che viene troppe volte ignorato.

Lo sbaglio è che continuiamo a riconoscerne   l’esistenza solo quando
un  fatto viene denunciato e fa notizia.
Dobbiamo rendere visibile quello che al momento nessuno sembra vedere. Dobbiamo intervenire per porre fine a questa vergogna.
        

Virginia Chemello     

sabato 24 gennaio 2015

Il mestiere del lustracarpe





“stavo pensando …… sai quei ragazzini che lucidano le scarpe per la strada?Mi stavo chiedendo se potrei farlo anch’io”

Il lavoro del lustrascarpe è un mestiere in cui si lucidano le scarpe altrui, generalmente si lavora per strada quindi si è in continuo contatto con le persone che ci circondano quindi bisogna essere  predisposti al contatto umano. E’ uno altro modo per conoscere lingue e culture della gente facendo quattro chiacchiere con i propri clienti. Un tempo era un lavoro molto diffuso in gran parte del mondo, ma attualmente sta scomparendo in Europa e in Nord America. Chi si guadagnava da vivere facendo il lustrascarpe veniva talvolta chiamato sciuscià termine italianizzato a Napoli derivato dal nome inglese shoe-shiner. Oggi viene considerato più  un espediente che un lavoro vero e proprio. Però questo mestiere che veniva svolto maggiormente dai bambini per guadagnarsi qualche mancia come fece Abbas per far aumentare i suoi guadagni, sta tornando in voga perché l’uomo ci tiene ad avere le scarpe pulite quando esce. I lustrascarpe per lavorare si posizionano sulle strade più trafficate o sotto ai portici dei palazzi, li si trova seduti e davanti a loro posizionano una grande poltrona dove viene fatto sedere il cliente. All’inizio la scarpa viene spolverata con uno straccio perché soprattutto in città la polvere si accumula ovunque, poi viene applicata la cera a seconda del colore della scarpa e infine si sfrega energicamente con un panno di cotone per lucidare la scarpa. Per acciuffare i clienti più ingenui a Istanbul hanno creato una strategia chiamata “il trucco della spazzola”, il lustrascarpe lascia cadere dalle sua borsa una spazzola che il turista raccoglierà riconsegnandola al proprietario, in questo modo il lucidascarpe dovrà sdebitarsi offrendogli così una pulizia della scarpe. Avvenuto ciò pretenderà il conto. Questo mestiere, quando era molto diffuso, poteva anche portare ad essere gobbi o con delle problematiche alla spina dorsale a causa dello stare piegati in avanti per ore a pulire scarpe.
Emma Baesso

domenica 18 gennaio 2015

Nascita ed evoluzione di Bollywood



La maggior parte delle pellicole piratate che arrivano in Iran provenivano da Bollywood, ma ogni tanto filtravano anche i maggiori successi americani.

Bollywood è la controparte indiana di Hollywood. Il termine viene usato soprattutto per indicare i film di produzione indiana in lingua hindi (parlato soprattutto nella parte settentrionale e centrale dell'India) e in alcuni casi in lingua hurdu (lingua sviluppatasi nell'Asia Meridionale).
Il cinema arriva in India nel 1896, subito dopo l'invenzione del cinematografo ma non è fino al 1913 che il primo film viene prodotto e solo nel 1931 arriva finalmente il sonoro e nel 1934 per la prima volta in India arriva il playback.
Il periodo fra gli anni 40 e 60 è descritto ancora oggi come l'epoca d'oro del cinema hindi per i suoi grandi cambiamenti. Durante gli anni 40, quando stava avvenendo il secondo conflitto mondiale, i film di Bollywood hanno avuto un radicale cambiamento e seppur tenendo lo stesso senso melodrammatico dei film del cinema hindi, la cinematografia iniziò a "raccontare" dei cambiamenti enormi che stavano avvenendo in quel paese in via di espansione e delle problematiche sociali. Questo dura fino agli anni 60 quando però avviene un altro radicale cambiamento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il pubblico ormai devastato dagli avvenimenti di quel periodo aveva bisogno di qualcosa di più leggero con una punta di romanticismo che potesse riportare un pò di serenità in quel clima, così l'era finì con un lento cambiamento verso questo nuovo genere.
All'inizio degli anni settanta nei film il pubblico inizia a desiderare qualcosa di nuovo e questo fa nascere un nuovo tipo di eroe,proveniente da una classe sociale medio-bassa che combatte la corruzione ma gradualmente questo genere viene deviato da una grande connotazione di aggressività e violenza. Con questo cambiamento la maggior parte del pubblico femminile non è più attratto dal cinema e questo contribuisce alla perdità di visione del cinema indiano negli anni 80'.
In questo ultimo decennio però il cinema si è finalmente ripreso con tematiche più "giovani" rispetto a un tempo, parlando sempre più dell'amore fra questi ultimi di classi sociali diverse oppure di essi che cercano di avvicinarsi alla civilità occidentale.
Una grossa parte però del successo di questi film è dovuta al loro "contorno". Una parte importante è la danza che trae molto spesso ispirazione dai balli popolari e folkloristici del paese, spesso delle zone rurali. Con questo però c'è pure la musica, che è da sempre una parte integrante della cultura ed è sempre presente in essa.
Andrea Piana


giovedì 1 gennaio 2015

Il gioco d'azzardo



Il gioco d'azzardo consiste nello scommettere dei beni, come ad esempio denaro, sul risultato di un evento che avverrà in futuro.
Chiunque può essere un giocatore d'azzardo.
Qualsiasi attività che non ha certezza sul finale risultato, può essere prestata a scommesse e perciò può essere oggetto di gioco d'azzardo.

LE SCOMMESSE:
La scommessa  viene effettuata tra due o più giocatori, su un evento esterno a loro.
Le agenzie scommettitrici possono esercitare la loro attività su tutto il territorio nazionale.
Alcuni esempi di giochi d'azzardo molto diffusi sono:
-Il Totocalcio; un concorso a premi, che ha come obbiettivo prevedere gli esiti finali di 14 di calcio.
-Il Lotto; la sua gestione viene affidata all'Ispettorato Generale per il Lotto e le Lotterie e alla Direzione Generale delle Entrate Speciali, che ha la sua sede presso il ministero delle finanze. Consiste nel scommettere dei soldi su una delle 11 ruote presenti: Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Nazionale. Le estrazione si svolgono tre volte alla settimana: il martedì, il giovedì e il sabato. Per ogni ruota si estraggono 5 numeri compresi tra l'1 e il 90, senza che nessun numero estratto sia poi reimmesso nell'urna. E' il più diffuso gioco d'azzardo in Italia.
-Il Superenalotto:, è uguale al Lotto soltanto che è un gratta  e vinci e quindi i numeri sono già scritti e la persona che lo acquista non può scegliere, come si può fare invece con il Lotto. Il suo ideatore è Rodolfo Molo.
 Da qualche anno a questa parte si è iniziato a scommettere anche su eventi musicali, come ad esempio Sanremo.

Uno dei modi in cui il gioco d'azzardo può essere svolto sono i casinò, alcuni giochi tipici sono: roulette, blackjack, chemin de fer, slot machine e il baccarat.
In Italia il gioco d'azzardo si può esercitare, è vietato solamente nei locali pubblici. Le scommesse e le lotterie si possono praticare ma solo con l'autorizzazione dell'autorità pubblica. Alcune ricerche, hanno sottolineato come il 55% dei giocatori d'azzardo, siano nullatenenti.
Secondo l'ordinamento italiano non si può adire l'autorità giudiziaria per obbligare qualcuno a saldare dei debiti di gioco. In particolar modo l'art. 1933 del C.C considera il debito di gioco come obbligazione naturale.  
Il gioco d'azzardo può diventare a tutti gli effetti una patologia vera e propria,  detta “gioco d'azzardo patologico”, questa “malattia” spinge la persona a giocare in modo compulsivo, per vivere l'eccitazione del rischio, che purtroppo è tanto più fuori controllo e forte quanto più alta è la posta.
Solitamente i sintomi del giocatore d'azzardo patologico sono diversi, come il fatto di essere molto irritabile ed irrequieto quando tenta di ridurre oppure interrompere il gioco d'azzardo, dopo aver perso al gioco, spesso e volentieri ci ritorna un altro giorno, solitamente può anche aver messo a repentaglio o perso una relazione significativa, lo studio, il lavoro a causa del gioco d'azzardo.
Questa patologia può essere curata con della psicoterapia.
A parer mio il gioco d'azzardo è un'attività sbagliata, perchè spesso se non si usa la testa e si può essere troppo coinvolti, e alla fine diventarne dipendenti. Quindi secondo me ci dovrebbero essere maggiori controlli e maggior attenzione sia da parte di chi gioca, ma anche da parte dei venditori ad esempio di gratta e vinci. Se così fosse i giocatori d'azzardo giocherebbero con un po' più di buon senso, e non buttando via i soldi.


Valeria C.